Popolo bue a Torino. Prove di auto attentato

Come non essere d’accordo con il post di Maurizio Blondet, del quale riportiamo di seguito uno stralcio. Quello successo a Torino davanti al megaschermo della partita Juve-Real Madrid è il metro che misura di cosa è piena la persona generica: di vuoto. Marionette programmate a reagire a comando. Perché suscita tanto scalpore la reazione violenta e dissennata occorsa in Piazza San Carlo? Ovvio, per il numero di feriti che il nulla ha tramutato in psicosi di massa. Ma andando più nel dettaglio a trovare il vero movente di tutto ciò, c’è anche da chiedersi quale livello energetico e psicologico ha il fruitore di eventi calcistici di piazza. Di cosa si vuole dimenticare, identificandosi con un gioco così stupido dove ricchi miliardari inseguono una sfera, mentre la maggior parte di loro a malapena arriva alla fine del mese?

Una pletora di persone che non comprendono di essere presi in giro da un circo mediatico che li tiene in ostaggio di se stessi, che li invita a vedere fuori per non guardarsi dentro e perciò dominabili dall’esterno a seconda delle immagini e dalle sensazioni proposte. Con un preciso scopo, lo ribadiamo.

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“Accettiamo la realtà del mondo così come ci viene presentata”

Quello che è successo a Torino possiamo tranquillamente vederlo come un’esperimento sociale immaginando i registi posti in alto a vedere la scena, che affermano “esperimento riuscito”, dandosi vicendevolmente una pacca sulla spalla.

Vi ricordate “The Truman show”, il film con Jim Carrey? Ecco, succede esattamente così.

Quando smetteremo di essere preda degli istinti di pancia, quando domineremo i nostri pensieri, quando saremo veramente responsabili (in grado di rispondere, alla nostra coscienza) solo allora diventeremo inattaccabili e capaci di agire autonomamente lasciando invece di essere automi.

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So che arrivo in ritardo. Ma avendo seguito il panico di massa di Torino da tv estere, segnalo là che l’hanno definito “stampede”.  Nell’estremo Occidente (a noi noto come Far West) i  vaccari (cow boys) chiamano così un fenomeno da loro molto temuto: una mandria di migliaia  di capi, colta da panico insensato e improvviso, si mette tutta al galoppo all’impazzata;  un colpo di pistola, ma anche lo spezzarsi di un grosso ramo secco, l’ululato di un coyote, qualunque altro motivo possono destare l’armento, specie di notte, dormiente in piedi, al più cieco spavento; migliaia di zoccoli e  corpi pesanti quintali si danno al galoppo senza meta; impossibile fermarli e farli tornare alla ragione, dato che bovidi ed equidi, di ragione non  sono dotati; come per la mandria umana, spesso occorre un contro-terrore che gli faccia dimenticare il panico di prima – essendo di corta memoria;  cosa difficile e rischiosa,  perché anche le scariche in aria coi fidi Winchester non bastano a sovrastare il rumore, come di decine di treni, che produce la massa galoppante, muggente e fumante di vapore. Quando i vaccari ci riescono in qualche modo, poi contano i danni,    accampamenti calpestati, cani stritolati, gambe rotte,  mandriani travolti.

Anche se bisogna ammettere che  nel selvaggio West i ruminanti in panico, anche impazziti di paura,  se distruggono qualunque cosa al loro passaggio, abbastanza di rado travolgono, schiacciano e uccidono i loro piccoli.   Se a mantenerli quasi umani  sia  la indisponibilità di birra in quelle praterie e di cocci di vetro delle bottiglie della birra medesima  nel West, non saprei. Vedo che vetri rotti e birra sono molto discussi come causa dello stampede di Torino;  c’è chi parla di camion di venditori abusivi dello spumeggiante dissetante, lasciati passare dai vigili urbani; c’è chi accusa la sindaca Appendino di non aver vegliato, di aver lasciato entrare  i venditori, di non aver predisposto vie di fuga nel “salotto di Torino”. Anche  se riterrei  più concreta la responsabilità del prefetto e delle forze dell’ordine,  vorrei che  tutto ciò non   servisse a  sminuire la responsabilità del  principale autore e protagonista del disastro.  Il Popolo Bue.

Una vecchia conoscenza, purtroppo, in Italia. Il Popolo Bue ha quella  sera la più chiara esibizione dei suoi caratteri  zoologici: dalla sua misteriosa tendenza ad agglomerarsi  spontaneamente in inverosimili folle accalcate gomito a gomito davanti a palchi  rock pop,  pedane illuminate ed emittenti di mega-decibel, ma soprattutto a teleschermi giganti in occasioni  di tifo calcistico; il loro stato d’animo perennemente oscillante tra le rabbie e passioni di pancia, e la paura; la viltà fondamentale.  Che il Popolo Bue viva di paura, s’è visto: l’eco degli attentati a Londra e  Manchester   covava con tremore e timore in quelle miriadi di cuori – tant’è vero che è bastato che  qualcuno gridasse, o qualcuno  credesse di  udire gridare “  Allah”, e tutti a schizzare in tutte le direzioni, cercando di  scavalcare  le centinaia di vicini,  perdendo le scarpe;  altri evocano un petardo, e  tutti hanno   rivisto quel che avevano guardato con indifferenza bovina al tg: Kabul,  il mega attentato, 90 morti, 400 feriti..Ecco, l’Islam  attacca anche noi! Invece, il fantasmatico e mediatico ISIS non ha alcun bisogno di mobilitare uno dei suoi kamikaze   occultati fra noi perché, come ha scritto beffardo Libero, noi “ci siamo fatti l’attentato da soli”   –  non  occorrono terroristi,  ci terrorizziamo  perfettamente  da noi stessi.

Ma poi, che cosa fanno quei trentamila cuori tremebondi che vivono nella paura dell’attentato islamico? Invece di vedere la  partita di Champions League  con 15 amici nel salotto di  casa, o 30 in pizzeria, hanno voluto agglutinarsi in  30 mila in una piazza davanti  al teleschermo.  Com’è tipica questa sconsideratezza! Vi sono imprudenze che vengono dettate dall’audacia; ovviamente non è il nostro caso. L’imprudenza del Popolo Bue è dovuta alla inettitudine a prevedere, a vedere al di là del proprio naso – già ornato del resto,  in alcuni esemplari  tatuati, di anello.  E giù  birra. Sarebbe vietato, ma chi se ne frega? Anzi infrangiamone   qualche migliaio   sul selciato: che cosa può succedere di male?

…continua sul sito della fonte

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