Meditazione della gentilezza amorevole (Mettā bhavana)

A cura di Lidia

Durante queste (prime) giornate invernali, nelle quali il freddo pungente dell’aria novembrina mi scuote dentro e fuori, mi sono ritrovata a pensare agli anni passati (“ante covid“) con nostalgia ed un vago desiderio di ritornare “là”, in quel luogo temporale non meglio definito, dove tutto era semplice, o sembrava tale.

Nei miei ricordi, sicuramente ingannevoli, associo semplicità a gioia. Immersa in questa emozione nostalgica, ho riflettuto sul fatto che, in realtà, la mia vita prima del 2020 (ad imperitura memoria l’anno in cui sono iniziate le note vicende di mala sanità e le vessazioni a cui siamo stati sottoposti dai Governi mondiali), non era più semplice di quanto lo sia oggi.

La mia vita era “semplicemente” regolata da un lavoro che stava diventando sempre più impegnativo e sempre meno gratificante, da impegni familiari a cui spesso non potevo partecipare personalmente e per soddisfare i quali dovevo delegare altri e da piccole finestre di “tempo libero”, spesso mal gestite e quindi poco godute.

La mia vita non era più semplice, né più felice.

Era più organizzata, più remunerativa economicamente, più stressante e faticosa ma soprattutto cortocircuitata, su una sorta di ripetitività quotidiana.

Prima del 2020, ero una lavoratrice instancabile, animata da un profondo rispetto del lavoro, tanto da non essermi mai assentata per febbre o malesseri fisici per quasi 22 anni. Una persona affidabile e seria si direbbe, una madre abbastanza presente (quasi sempre) e una moglie accettabile (spesso isterica).

Poi, nel 2020. è cambiato tutto.

Non è stato semplice: perdere il lavoro e con esso la fragile identità che vi avevo costruito attorno, affrontare un primo momento di euforia, un secondo di preoccupazione, un terzo di ansia ed infine l’idea, sconsiderata per certi aspetti, che le diminuite possibilità economiche non mi toglievano quel senso di “sicurezza” che prima attribuivo allo stipendio.

Ho conosciuto persone meravigliose, ho vissuto molte cene, molte gite, molti discorsi con loro.

Ho organizzato il mio tempo in modo autonomo, ho imparato come coltivare un orto, ho letto moltissimo, ho trascorso molto tempo con la mia famiglia, ho vissuto la natura come non facevo da molti anni.

Ma non è stato tutto semplice: la rabbia e la frustrazione che mi hanno animato per molti mesi per ciò che stava accadendo a livello nazionale e mondiale mi ha corroso, mi ha consumato, mi ha devastato. Il senso di impotenza mi ha fatto sentire vulnerabile prima e stanca poi, quando, come molti altri, ho affrontato una serie di scelte difficili e sofferte.

Ho dato spesso la “colpa” di quanto abbiamo vissuto anche a chi ha ceduto alla narrativa ufficiale, accettando certificati e vaccini, sia che fosse sotto il peso di un ricatto o per paura o ancora semplicemente perché aveva voglia di viaggiare, di mangiare in mensa con i colleghi, una pizza con gli amici, di andare al cinema e credere di conquistarsi la meritata “normalità”.

Ho guardato in cagnesco chi ha obbedito senza indugio nell’indossare la pezza in faccia, mortificando se stesso e la propria anima, giudicandolo alla stregua di un impostore del genere umano.

Ho risposto con rabbia quando mi veniva criticato di mettere a repentaglio la sicurezza economica della mia famiglia offrendo una verità che era assoluta solo per me.

Ho incolpato in primis ei sanitari, poi gli insegnanti ele forze di polizia.

Ho incolpato i Governi per le tanti morti, per la camicia di forza che ci hanno cucito addosso, alimentando di continuo la forza della mia avversione verso “gli altri” giudicandoli continuamente per le loro azioni, diverse dalla mie.
Sono arrivata a sentire il bisogno di entrare sempre dall’uscita dei negozi e contestare ogni irragionevole regola di vita in comune.

La mia vita, però, in effetti, non è peggiorata dopo il 2020. Come mai tanta rabbia allora?

Noi facciamo tutti parte di un mondo collettivo, ma in questi ultimi anni si sono creati un caos e una tale disarmonia sociale che hanno diviso la popolazione in due entità: due corpi sociali rabbiosi, in conflitto uno contro l’altro.
Alimentare questa dicotomia sociale è stato funzionale per il Governo per diversi motivi:

  1. indebolire la volontà individuale,
  2. instaurare nella popolazione l’idea che una situazione surreale è la “nuova normalità” che alimenta la necessità di “figure forti” e risolutive della situazione (vedi “nuovo” Governo) che formulano promesse e rassicurano.

Abbiamo assistito in questi anni ad un progressivo indebolimento del tessuto sociale, ad un incremento della sfiducia di una grossa parte della popolazione nelle istituzioni e nell’altra in coloro che non credono ciecamente nel dogma scientifico.

Abbiamo osservato un progressivo spostamento verso la tecnologizzazione imperante, che crea una situazione di sottomissione dell’anima e dello spirito in favore dell’universo “razionale”.

Molti medici e sanitari hanno cercato di raccontare “fatti documentati”, di stimolare dibattiti e riflessioni, ma chi è accecato da rabbia e paura non ascolta, si irrita ancora di più, si irrigidisce sulle proprie posizioni, perché si sente attaccato e minacciato.
Allora, ho pensato, che forse la strada per arrivare a risolvere i conflitti non è concentrarsi sulla “verità”, per quanto possa essere documentata, ma ridurre la sensazione di rabbia e conflitto.

Chi ha responsabilità nell’aver orchestrato tutto questo, un giorno ne risponderà davanti ad un Tribunale o davanti a qualche altra Eminenza; ma credo che se io continuo ad alimentare questo fuoco di avversione verso i miei fratelli e le mie sorelle, faccio il loro gioco.
Credo che dopo aver affrontato tante difficoltà e tanti dubbi ora ci aspetta la sfida più grande che è quella dell’accoglienza di chi la pensa diversamente da noi. Credo di avere il dovere di regalare alla mia anima ribelle la pace che merita e che tutti meritiamo.

Viviamo in un momento storico incredibile: azioni che hanno avuto da un lato lo scopo di sottomettere il nostro corpo e la nostra umanità, imponendoci di non abbracciare, amare e comunicare, e dall’altro la pretesa di soggiogare la nostra mente, schiacciandola con paura, minacce e odiosi ricatti.

Ora cercano di imprigionare la nostra anima, il nostro cuore.

Vedo gli occhi di tante persone attorno a me che sono spenti e tristi, persone in cui si è verificata, per citare Franco del Moro una “disconnessione dello spirito dalla mente”1 a causa della quale si diventa prigionieri di una visione “razionale” e meccanica, priva di coscienza e di umanità, ancorata ai cinque sensi e svuotata dello spirito.
Se non perdiamo fiducia nelle forze superiori, nella connessione tra tutti gli esseri viventi, possiamo ricostruire e sanare il tessuto sociale, ritrovare la vicinanza tra tutti noi.

Ora chiudi gli occhi. Sii consapevole del fatto che esiste un’intelligenza che si trova dentro di te e intorno a te. Ricorda che tale intelligenza è reale.
Pensa al fatto che questa coscienza ti osserva ed è consapevole delle tue intenzioni.
Rammenta che si tratta di un creatore che esiste al di là dello spazio e del tempo“.

(Dr. Joe Dispenza “Cambia l’abitudine di essere te stesso“)

Deepak Chopra2 ci ricorda che “the silence of our heart is our true self” (il silenzio del nostro cuore è il nostro vero sé).

E’ necessaria una coscienza profonda per creare connessione tra gli esseri umani,

la capacità di accogliere ed ascoltare l’altro, ricordandoci che l’ego tenderà a rispondere ad altre istanze. Siamo chiamati oggi a vivere esperienze attraverso cui possiamo espandere le nostre coscienze, in modo non giudicante ma accogliente, superando convinzioni dettate dalla nostra mente e che possono essere in conflitto col cuore.

Se siamo in pace con noi stessi, niente ci scuoterà e disturberà (ed il cuore sarà in silenzio, privo di turbamenti). Questo è il vero atto di fede, la vera preghiera, il nutrimento per l’anima.

Esiste una meditazione, che si chiama Mettā bhavana, conosciuta come meditazione dell’amorevole gentilezza. Il termine mettā della lingua Pali, maitrī in sanscrito, significa benevolenza, gentilezza amorevole, amichevolezza, buona volontà, e interesse attivo per gli altri. Nella scuola del Buddhismo Theravada, la gentilezza è uno dei Quattro Immisurabili, ovvero una virtù che porta ad uno stato meditativo in grado di contrastare la negatività generata dai nostri stessi pensieri.

Rimuove la nostra aderenza ad uno stato d’animo controproducente, coltivando la gentilezza verso tutti gli esseri del creato.

Gentilezza Amorevole (Metta): Meditazione Guidata | Kira Vanini (dal canale “Meditazione zen”)

Pratichiamo gentilezza amorevole, dedichiamoci a donare amore a noi stessi in primis e quindi a tutto il creato. Questa è una battaglia che non avrà mai fine, perché dentro ognuno di noi si trova il bene e si trova il male. Ma è una battaglia che si vince ogni giorno facendo delle scelte profonde, curando le proprie ferite con gioia, con gentilezza, fede.

Nulla è veramente semplice e nulla è veramente insuperabile, se non perdiamo fiducia nell’immenso potere del creato.

note:
1 http://www.ellinselae.org/ (casa editrice fondata da Franco Del Moro)
2 https://www.deepakchopra.it/

Immagine copertina di rawpixel.com su Freepik

2 pensieri riguardo “Meditazione della gentilezza amorevole (Mettā bhavana)

  1. Mi domando: ma se tutto fuori è lo specchio, il riflesso di ciò che abbiamo dentro (così in alto come in basso , così fuori come dentro) allora quella gentilezza amorevole non dovrò applicarla fuori ma verso quella parte di me che scatena contro gli altri rabbia, risentimento, avversione… Forse dovrò imparare a comprendere come il mio Ego manipola le mie energie e trasformare tutto ciò in comprensione prima, e compassione poi. Ci provo, poi riporto l’esperienza ;^)

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