Calli alle mani

A cura di Lidia

Poco fa, vestendomi dopo la doccia, mi sono resa conto che ho i calli alle mani. E non – come mi succedeva a scuola – nel punto in cui posavo la penna sul dito per scrivere ma proprio sui palmi.
Sono calli dovuti all’uso di rastrelli, pala e carriola.

Ho trascorso gli ultimi due giorni, insieme ad altri amici sognatori ad occhi aperti come me, a seminare patate.

Sono stanca, ho male dappertutto ed ho i calli alle mani. Aggiungo che mi sento molto bene. Non ho calli al cuore o al cervello o – peggio ancora – all’anima.

Certo, se cinque anni fa mi avessero detto che avrei trascorso ore chinata con il viso rivolto alla terra a parlare a tuberi e verdure avrei riso. Non di derisione, ma di incredulità.

C’è stato un tempo in cui credevo che non ero in grado di fare altro che quello che era il mio lavoro. Ero il mio lavoro. Non avrei mai preso in considerazione altro che quello. Mi dava un senso di stabilità, fiducia, benessere. Ma poi il mio lavoro ha iniziato a togliere più che a dare e ho fatto una scelta. Oggi penso che possiamo imparare a fare qualunque cosa e che quasi nulla ci è impossibile se c’è desiderio, volontà, entusiasmo.

Nel 2020, la casa editrice “Ponte alle Grazie” pubblica “Teoria della dittatura” un saggio scritto da Michel Onfray, filosofo e saggista francese. In questo saggio, Onfray si pone il problema se la società attuale sia veramente libera o se abbia fatto negli ultimi decenni progressi verso la libertà.

Per rispondere a questi interrogativi, usa criteri desunti dalle due opere di Orwell più note: 1984 e La fattoria degli animali, in cui il romanziere inglese descriveva i totalitarismi del XX secolo: nazismo e comunismo.

Da queste, Onfray desume sette “comandamenti” idonei a demolire le libertà e realizzare una dittatura:

  1. distruggere la libertà;
  2. impoverire la lingua;
  3. abolire la verità;
  4. sopprimere la storia;
  5. negare la natura;
  6. propagare l’odio;
  7. aspirare all’impero. 

Scorrendo tale elenco mi sembra che sia vero che la libertà è stata messa sotto attacco gradualmente da anni e drammaticamente negli ultimi due, la lingua ha acquisito (suo malgrado) valenze e terminologie atte a spaventare ed installarsi nei nostri circuiti con nuovi linguaggi, la verità è continuamente mistificata e confusa nel continuo ed enorme flusso di informazioni contraddittorie e sempre più surreali, la storia è stata riscritta e negata in moltissime occasioni, la natura minacciata e deturpata, l’odio fomentato e strumentalizzato e tutto questo per arrivare ad un unico, globale, sistema di controllo e stravolgimento dei principi morali (Imperialismo dilagante?).

Accarezzo i calli alle mani e rifletto su quanto, a livello individuale e di collettività, possiamo però riuscire a fare per ribaltare questo elenco di nefandezze. Abbiamo risorse intellettuali, fisiche, emotive e possiamo (no, dobbiamo) oggi metterle in campo per ri-direzionare le energie nell’innalzamento delle vibrazioni, nella cura di noi stessi e della nostra comunità.

Costruire un mondo nuovo non è impossibile. E’ difficile, difficilissimo. Ma non è impossibile.

Per farlo è necessario, prima di tutto, tornare alla nostra umanità e comprendere nel profondo di noi stessi che possiamo fare tutto ciò che possiamo immaginare.

Provo allora a rilanciare, in ordine sparso, dei “contro comandamenti” per non arrendersi alla dittatura:

  1. tornare alla Natura, riconoscendo in essa l’inizio di tutte le cose e la nostra vera salvezza.
  2. Lavorare per vivere e non vivere per lavorare;
  3. Essere impassibili di fronte all’odio e alla rabbia e con un sorriso fermo rispondere ad ogni sollecitazione con la calma interiore. Il sorridere dei calli è meglio dell’indurirsi dei tessuti del cuore.
  4. Vivere nell’esistenza del momento presente e non nell’avere del futuro.
  5. Leggere molto e di tutto ma soprattutto ciò che sentiamo che nutre la nostra anima. Sapersi esprimere appieno non significa necessariamente conoscere parole nuove.
  6. Vivere nella bellezza dell’esistenza stessa e non avere paura del dolore, fa parte di essa.

Persuadersi che morire in vita è davvero peggio che morire un giorno; sperimentare il sublime attraverso la contemplazione del cosmo; escludere la possibilità di infliggere una sofferenza a un altro essere vivente; costruirsi una frugalità alimentare; esercitarsi a condurre una vita poetica; puntare successivamente alla pratica della vita filosofica; aumentare la propria presenza al mondo; prendere dagli artisti in prestito le loro vie d’accesso al mondo; smettere di vivere, nel mondo, fuori dal mondo”.

(Michel Onfray “Cosmo” Edizione Ponte alle Grazie, 2015).

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